CIRF (Centro Italiano Riqualificazione Fluviale) e Man on the River presentano
Come stanno i fiumi d’Europa?
La grande maggioranza dei corsi d’acqua europei ha raggiunto un livello di alterazione e artificializzazione estremamente elevato. I tratti di fiume in condizioni prossime a quelle naturali sono ormai rarissimi (pochi punti percentuali sul totale) e quasi sempre limitati alle zone di alta quota.
Ma come è fatto e come funziona un fiume naturale?
Il fiume non è solo acqua
Siamo abituati a valutare la salute di un fiume in base alla qualità delle sue acque, ma c’è molto di più! Un corso d’acqua ospita comunità vegetali e animali che sono strettamente connesse alle caratteristiche fisiche del fiume e ai suoi processi. Le condizioni ambientali (pendenza, larghezza, dimensioni, profondità, granulometria, velocità, sali disciolti, temperatura, trasparenza, illuminazione, vegetazione, ecc.) variano sia nello spazio che nel tempo.
Una particolarità degli habitat di acqua corrente è infatti l’associazione tra una grande eterogeneità spaziale e una forte variabilità temporale. Tutti gli elementi sono soggetti a perturbazioni fisiche, anche violente (ad esempio le piene), con frequenze diverse. Poiché in un corso d’acqua naturale essi sono interconnessi, le zone protette possono servire da riparo per gli organismi quando gli altri elementi sono soggetti a perturbazioni. Questa organizzazione dello spazio permette la coesistenza di specie dotate di preferenze d’habitat, di cicli di vita e di strategie molto diverse.
Esempi di varietà di habitat che caratterizzano gli ecosistemi fluviali (foto di B. Boz e I. Schipani, tratte da CIRF, 2006).
L’importanza della diversità ambientale si ripropone a tutte le scale. Ad esempio alla scala del tratto fluviale (dalle decine alle centinaia di metri) è un requisito essenziale per i popolamenti ittici. I pesci, infatti, si spostano da un ambiente all’altro per compiere determinate attività: alimentazione, esplorazione, sosta, rifugio, riproduzione. I salmonidi, ad esempio, richiedono ripari dalla corrente, rifugi dai predatori, raschi per cibarsi, pozze per la sosta, tratti (montani) di transizione tra pozze e raschi per l’ovodeposizione (aree di frega).
Le esigenze ambientali per ciascuna attività variano non solo da una specie all’altra, ma anche con l’età di ciascun individuo. Per ospitare un popolamento diversificato è perciò necessario che in un tratto fluviale non eccessivamente lungo siano presenti tutti gli habitat necessari allo svolgimento di tutte le attività per tutte le specie ittiche e per tutti i loro stadi vitali.
Questi habitat devono essere accessibili nel momento preciso del bisogno. Da ciò l’importanza vitale delle connessioni idrauliche, longitudinali e trasversali, che permettano la circolazione dei pesci tra il loro territorio quotidiano, o di determinate fasi vitali, e gli habitat per le fasi critiche. La presenza di barriere insormontabili rende impossibile tutto questo.
Analogo discorso può esser fatto alla scala tipica dei macroinvertebrati, la cui varietà di specializzazioni e adattamenti anatomici, fisiologici e comportamentali è legata a particolari condizioni microambientali.
Ne deriva che la diversità ambientale a piccola scala, cioè l’eterogeneità del substrato (mosaico di massi, ciottoli, pietrisco, sabbia, legname, ecc.), dei parametri fisici (di velocità, turbolenza, gas disciolti, ecc.) e delle risorse alimentari (mosaico di periphyton, accumuli fogliari, macrofite acquatiche, particolato organico fine, ecc.), è un requisito indispensabile per ospitare una comunità ben strutturata e diversificata, capace, tra l’altro, di realizzare un’efficiente autodepurazione.
Ogni forma di banalizzazione del substrato (appiattimento dell’alveo, canalizzazione, rettifiche, regolarizzazione delle sponde o della sezione, rimozione di ostacoli, vegetazione riparia, ecc.) riduce più o meno grandemente la diversità ambientale e, perciò, la biodiversità e il potere autodepurante.
Un substrato naturalmente eterogeneo è in grado di ospitare una comunità di macroinvertebrati ricca e diversificata (immagine di Giuseppe Sansoni)
In generale, quindi, si può dire che la biodiversità è il risultato di tre fattori: eterogeneità, variabilità, connettività.
Una sezione di un corso d’acqua in condizioni di elevata integrità ecologica e naturale connettività. In un corso d’acqua integro (se si eccettua la presenza di elementi naturali di discontinuità) non vengono frapposti ostacoli allo svolgimento dei processi biologici, morfologici, chimici che si svolgono in direzione longitudinale (tra monte e valle), laterale (dall’alveo verso la piana inondabile e le aree golenali) e verticale (dalla zona a deflusso superficiale verso la zona iporreica); tali processi non sono ostacolati nemmeno lungo una quarta dimensione, quella temporale, consentendo a breve e lungo termine la libera evoluzione dell’alveo. (da Bayley, 1995, ritoccata, © American Institute of Biological Sciences; tratta da CIRF, 2006).
Un fiume naturale si muove e cambia nel tempo!
I processi geomorfologici, ovvero il trasporto di sedimenti, le variazioni locali di forma e granulometria, la migrazione laterale degli alvei o di rami fluviali (esclusi ovviamente quelli a fondo fisso), ecc. generano le strutture che forniscono il quadro fisico degli habitat. Questi processi agiscono a tutte le scale, dalla forma della valle all’arrangiamento delle particelle del substrato. La dinamica morfologica del fiume è quindi il fondamentale “motore” che consente il mantenimento e il ringiovanimento degli habitat.
Dal punto di vista delle dinamiche morfologiche, un corso d’acqua è paragonabile ad un nastro trasportatore di sedimenti: una sua funzione essenziale è quella di trasferire sedimenti dalle zone di origine (versanti) verso le zone di recapito finale del bacino. In un sistema fluviale si possono schematicamente distinguere tre principali categorie di processi: a) erosione, prevalente nelle parti alte del bacino; b) trasporto solido, prevalente nelle parti intermedie; c) sedimentazione, prevalente nel tratto terminale del bacino. (Kondolf, 1994; tratta da CIRF, 2006)
Un esempio della migrazione trasversale dell’alveo di un fiume di pianura nell’ultimo secolo
L’importanza degli ecotoni ripari e il ruolo fondamentale delle inondazioni
Negli ambienti non artificializzati, dove i processi fluviali hanno ancora modo di operare attivamente, il confine tra l’ambiente acquatico e quello terrestre non è netto, ma sfuma in una fascia di transizione più o meno estesa, chiamata ecotono, dove “il disturbo è vita”.
Queste zone di interfaccia sono caratterizzate da un’elevata eterogeneità fisica (microrilievo, condizioni pedologiche estremamente variabili anche su brevi distanze, diversa frequenza e durata degli allagamenti, diversa distanza dalla superficie freatica, presenza di zone umide perifluviali quali alvei secondari interessati da un debole deflusso, meandri abbandonati e riattivabili in occasione di piena, stagni, acquitrini, paludi, boschi igrofili, ecc.) che – associata all’azione modellatrice del “disturbo” idraulico conseguente alle piene e alle magre – genera una grande diversità di condizioni ambientali.
Il modello delle pulsazioni di piena, applicabile soprattutto ai grandi fiumi, suggerisce che i periodici cambiamenti del livello idrico sono cruciali per le comunità biologiche dei fiumi che corrono nelle pianure alluvionali e che la fonte primaria della produttività del basso corso dei fiumi sono i nutrienti e il materiale particolato derivante dagli scambi laterali tra piana alluvionale e alveo.
Alcune piante riparie (es. salici e pioppi) dipendono dalle inondazioni per la rigenerazione. Le piene, con i loro sedimenti, fertilizzano le piane alluvionali e creano habitat favorevoli all’ovodeposizione dei pesci e per le comunità di invertebrati, anfibi, rettili. Il periodico avanzamento e retrazione delle acque nella piana alluvionale accresce la produttività biologica e mantiene la biodiversità.
La vegetazione riparia è parte integrante del fiume
Le fasce di vegetazione riparia non vanno concepite come un ambiente adiacente al fiume, ma come parte integrante dell’ecosistema fluviale, poiché forniscono un importante contributo diretto al suo funzionamento.
Esse, infatti:
- con la caduta delle foglie, apportano agli organismi acquatici la principale risorsa alimentare;
- con l’ombreggiamento proteggono le acque dal riscaldamento e consentono perciò un maggior tenore d’ossigeno disciolto;
- intercettando e rallentando le acque di dilavamento dei versanti, favoriscono la sedimentazione dei solidi sospesi, contribuendo alla limpidezza delle acque fluviali, alla protezione dal seppellimento delle uova di pesci e macroinvertebrati e alla rimozione dei fosfati (legati alle particelle argillose);
- fornendo sostanze carboniose solubili ai batteri associati agli apparati radicali, consentono la denitrificazione, proteggendo le acque fluviali dall’eutrofizzazione.
Inoltre consolidano le sponde, rallentano la velocità delle acque di piena attenuandone la violenza, forniscono habitat ad una ricca fauna (invertebrati e vertebrati), costituiscono corridoi ecologici di collegamento che consentono i movimenti e le migrazioni animali e il superamento delle frequenti barriere antropiche altrove presenti (infrastrutture viarie, aree urbanizzate).
Per quest’ultima funzione, i corridoi vegetati fluviali assumono un’importanza determinante per la funzionalità non solo degli ecosistemi fluviali, ma anche del mosaico ecologico territoriale ad essi interconnesso che compone l’intero bacino.
La zona di transizione tra ecosistemi acquatici e terrestri è denominata “ecotono ripario”. Essa è costituita dalla fascia di suolo, spesso coperta da vegetazione, presente lungo tutti i corsi d’acqua, indipendentemente dalla loro dimensione e portata. Questa fascia di suolo ripario è soggetta a frequenti periodi di inondazione da parte delle acque del fiume e/o da parte delle acque di falda che permangono per lunghi periodi in prossimità della superficie. Per questo, a differenza delle aree terrestri adiacenti, i suoli di queste aree sono spesso saturi e dotati di proprietà peculiari. In questa zona si crea inoltre un particolare equilibrio ecologico determinato dalla sovrapposizione delle funzioni e delle proprietà dell’ecosistema acquatico e di quello terrestre.
Esempio di successione spaziale delle formazioni vegetali in un ecotono ripario. Nei corsi d’acqua naturali si crea un gradiente ininterrotto, dall’ambiente terrestre a quello acquatico, di comunità vegetali formate da specie adattate a resistere a periodi di sommersione degli apparati radicali, secondo gradienti di frequenza e durata che dipendono dalla distanza dal corso d’acqua e dalla morfologia locale.
L’alterazione idromorfologica dei corsi d’acqua
Per quanto detto, la conservazione dei diversi habitat e specie che caratterizzano un corso d’acqua sono quindi strettamente legati all’integrità delle sue caratteristiche fisiche e delle dinamiche idromorfologiche sopra descritte (non solo quindi ai ben noti problemi di qualità delle acque).
Nel corso degli ultimi secoli ed, in particolare, degli ultimi decenni la quasi totalità dei fiumi europei sono stati interessati da rilevanti variazioni morfologiche e idrologiche, le più comuni delle quali sono state l’incisione, il restringimento, la variazione di configurazione dell’alveo, l’alterazione delle portate e la riduzione delle aree soggette a naturali inondazioni. Questo a causa di interventi antropici volti principalmente alla stabilizzazione degli alvei, alla difesa dalle alluvioni, alla produzione di energia idroelettrica o ad altri usi dell’acqua, all’estrazione di inerti, alla navigazione che hanno modificato le caratteristiche morfologiche dei corsi d’acqua, il regime idrologico e le dinamiche di trasporto solido, con effetti significativi sia a monte che a valle delle stesse.
Di seguito alcuni dei fattori di pressione più comuni:
Costruzione di dighe e briglie: la presenza di uno sbarramento trasversale interrompe la continuità longitudinale del corso d’acqua, con effetti diretti sulla mobilità delle specie (in particolare della fauna ittica) e sul trasporto di sedimenti a valle. La riduzione del trasporto solido crea un deficit di sedimenti a valle, che nel tempo può avere conseguenze estremamente rilevanti anche a grande distanza: incisione dell’alveo, alterazione morfologica, abbassamento della falda, erosione delle zone costiere.
Nel caso degli invasi con bacino di accumulo si ha anche un effetto diretto sulle variazioni del regime idrologico, non solo in condizioni di magra (il problema più noto), ma spesso anche di piena (che come abbiamo visto ha un ruolo fondamentale per la biodiversità) e più in generale sulle caratteristiche idrologiche degli habitat .
Esempi di interruzione della continuità longitudinale del corso d’acqua (foto a sinistra: Bruno Boz)
Difese spondali e argini: Le arginature e le difese spondali interrompono la continuità laterale del corso d’acqua con perdita di funzionalità degli habitat ripari. Tali strutture inoltre limitano la mobilità laterale e interferiscono con il trasporto solido riducendo l’apporto di sedimenti dai versanti. Un esempio estremo di stabilizzazione dell’alveo (talvolta associata alla sua rettificazione) è data dalla cementificazione delle sponde e del letto. Tale intervento, oltre a impedire qualsiasi funzionalità ecologica del fiume privandolo addirittura della connessione con la falda e con la zona iporreica, riduce notevolmente la scabrezza dell’alveo, aumentando la velocità di deflusso e quindi il rischio idraulico a valle. Analoghi effetti hanno avuto i comuni e diffusi interventi di rettificazione degli alvei.
Argini, difese e muri spondali hanno sostituito quasi ovunque i naturali ecotoni ripari (foto Andrea Goltara)
Estrazioni di sedimenti in alveo: realizzate in modo massiccio negli anni 50-60′ per la ricostruzione post-bellica ma spesso presenti ancor oggi sotto il nome di interventi per la riduzione del rischio idraulico, hanno effetti devastanti sulle condizione idromorfologiche dei corsi d’acqua, responsabili dell’innesco di fenomeni di incisione dell’alveo (in Italia fino a oltre 10 metri) e dell’approfondimento della falda conseguente all’abbassamento del pelo libero dell’acqua. Dal punto di vista ecologico, l’incisione genera un forte impatto sia sugli habitat ripari, alterando la connettività laterale, sia su quelli acquatici, con perdita delle forme di fondo, corazzamento dell’alveo, variazione della velocità di deflusso, ecc.).
L’escavazione di inerti in alveo è ancora una pratica piuttosto comune (foto Andrea Goltara)
Incisione dell’alveo e impatto sulle infrastrutture (www.cirf.org).
Abbassamento della falda freatica conseguente alle escavazioni in alveo (Figura: G. Sansoni, da CIRF, 2006).
L’hydropeaking: L’hydropeaking è una specifica alterazione idrologica (che, nell’accezione comunemente usata del termine, si riferisce in particolare a una scala temporale inferiore al giorno) generata da impianti idroelettrici provvisti di capacità di invaso che concentrano la loro produzione nelle fasce orarie in cui il prezzo dell’energia è massimo (generalmente specifici orari durante il giorno) e trattengono acqua nelle fasce in cui il prezzo è minimo (generalmente nel corso della notte). Il risultato di tale gestione si traduce, a valle del rilascio, in un regime idrologico con forti oscillazioni giornaliere fra portate massime e minime. Il passaggio dalle minime alle massime e viceversa avviene in tempi estremamente rapidi, tipicamente fra i 15’ e 30’. Come è facilmente prevedibile, l’impatto sulle comunità biotiche acquatiche, incapaci di adattarsi a variazioni così brusche e ravvicinate, risulta generalmente drammatico.
Gli interventi per la navigazione commerciale: La navigazione di grandi navi a motore lungo i fiumi necessita di alcune caratteristiche che sono chiaramente incompatibili con un buono stato ecologico: una profondità d’acqua sufficiente costante possibilmente per tutto l’anno (quindi escavazioni, banalizzazione e rimozione delle forme fluviali); un alveo il più possibile costante nel tempo (quindi difese spondali, pennelli, arresto delle dinamiche morfologiche); spesso richiede di bacinizzare lunghi tratti, con una conseguente totale alterazione degli habitat, oltre alla presenza di infrastrutture che interrompono la continuità longitudinale. A questo, va aggiunto l’inquinamento (“ordinario” e accidentale) e il ruolo primario nella diffusione di specie esotiche. Per questi e altri motivi, sui fiumi naturali, molto meglio andare a remi!
Pennelli realizzati ai fini della navigazione lungo il fiume Reno (© Oceancetaceen – Alice Chodura)
Infine è importante sottolineare che i fenomeni descritti di degrado morfologico, oltre ad avere un impatto sull’ecologia del corso d’acqua e sull’uso delle sue risorse (inclusa la pesca e altri usi ricreativi), spesso amplificano i problemi di sicurezza idraulica (in particolare riducendo la naturale capacità di laminazione delle piene) e i danni alle infrastrutture in alveo (es. pile dei ponti), con conseguenti ingenti danni economici.
Ma…è possibile e conveniente gestire i fiumi in modo diverso e più naturale? Noi crediamo di sì! Per saperne di più e contribuire a fare un passo in questa direzione, contattaci: www.cirf.org.