I casi della vita

Cernavoda: acqua nera. Già avamposto romano, poi tristemente famosa per il canale della morte, fino a Costanza. Uno dei tanti, fatto scavare da Ceausescu per risparmiare i 300 km di Danubio che sale a nord per poi deviare a sud est verso il Mar Nero. Cernavoda-Cernobyl stessa radice nera. Anche a Cernavoda c’è una centrale nucleare.

Con tutta questa energia ci mancava il nucleare?

Al bar bollente ci sono una cameriera pelosa e uomini che mostrano con orgoglio la pancia: un luogo talmente brutto da far quasi tenerezza. Solo i cani randagi portano un po’ di grazia in questo piazzale assolato e di cemento polveroso con tamarri che accelerano e frenano rumorosamente. Dei gusti non conviene discutere. Io ho i miei e loro i loro. Non li giudico ma questo posto mi fa davvero cagare.

Spero solo di andarmene al più presto. E pensare che un gentile signore ci indica dove ormeggiare, e un altrettanto gentile signore, Rado, un vichingo che ha scelto questo non-luogo per vivere su una chiatta, ci concede di ormeggiare la barca.

Ma che ci faccio io qui? Primo c’è qui sotto il Danubio e qui ci sono arrivato tra colpi di remi, vento e per ultimo il passaggio dal capitano Florian. A proposito ho, abbiamo fatto 4200 km da Wargrave, nell’aprile 2010. (continua…)

 

A bordo del Leviatano

Dopo una notte animata da teppistelli che gettavano pietre alle barche e si muovevano sospetti, ci mettiamo in movimento per una passeggiata mattutina a Kladovo. Scopro un museo archeologico piccolo ma ricco di pietre importanti che raccontano la strada Traianea che qui, tra Kladovo e Dobreta, vide il più lungo ponte della storia per molto molto tempo, costruito nientepopodimeno che da Apollodoro di Damasco uno dei primi archistar della storia. Chissà se i nostri archistar rimarranno a brillare nella storia fulgidi come lui.

Alla polizia si va via lisci grazie a Miletin che conosce tutti. Lo abbraccio e via nella Dunav che dopo poche decine di metri, voilà, diventa Dunarea. Siamo in Romania. Entriamo a Dobreta Turnu Severn, tre nomi per un luogo solo.

Espletiamo formalità come se entrassimo in altro paese extracomunitario ma ci dicono cortesissimi poliziotti che è perché proveniamo dalla fuori UE. Uno di questi giorni morirò per un eccesso di risa (come diceva Bernard Motessier, anche lui allergico ai confini degli uomini).

Costel, un tipo simpatico che si occupa delle grandi navi che attraccano, ci fa stare all’ormeggio della sua chiatta galleggiante. Si rivelerà vitale. Con Mario, giovane e gentilissimo poliziotto, andiamo insieme in centro. E mangiamo una pizza italorumena al Cafe Barcelona, alla faccia del cibo locale che cerco di mangiare. Adoro la pizza. Vivrei di sola pizza.

Mario mi racconta della vita di qui. Lui ha lavorato ad Orvieto ed è tornato. Si guadagna meno ma si sta meglio qui. Vorrei dormire ma si rannuvola. Viene giù una tempesta coi fiocchi. La sento e mi rifugio sulla chiatta. Costel mi vede e mi invita ad entrare. Mi metto a dormire su un divano e dopo pochissimo, con raffiche che di sicuro arrivano a 40 nodi, onde e fulmini full screen, arrivano dentro anche Anna e Leon.

(continua…)

 

Il vento della follia

Sono rimasto a Golubac, con Anna e Leon, per sette giorni. Sono stati sette giorni di vento e di bellezza. Golubac è un piccolo paradiso.

Piccolo paese, circa 2.000 abitanti, ed il Danubio che si allarga fino a formare un lago largo quasi 7 km e lungo 10. Questo è il risultato della costruzione della chiusa Derdap, o Portile de Fier o Iron Gate o Eiser Tor. In italiano, “Porte di ferro”. Una volta qui il fiume era davvero duro: rocce, corrente folle e paura. Ora non più

Quando chiudi una gola l’acqua sale e così con 32 metri d’acqua in più si forma questo lago. Certo non è buono per l’ecosistema, ma siccome non tutto il male viene per nuocere ecco che la navigazione si semplifica. Si crea energia e i velisti arrivano.

Qui ne incontriamo di straordinari, come 5 ragazzini della squadra nazionale serba di classe Optimist, forse la barca a vela più semplice e geniale della storia. Questi campioncini mi fanno sentire un incapace. Per ben tre volte tento di passare la strettoia del castello dove la Koshava aumenta fino a 30 nodi (circa 60 km/h) e le onde che crea contro la corrente sono esattamente quelle che Clodia teme di più. Corte e ripide. (continua…)