Il sapere non è solo nella testa ma anche nelle mani e, forse, nel cuore.
Un abbraccio a coloro che soffrono in Emilia: non fa molto, lo so, ma è quello che posso dare ora. Ho sentito la scossa del 29 maggio; ero a Venezia per le mie purtroppo ancora necessarie visite mediche, in compagnia di Jürgen Hoh che già ci aveva ospitato a Bamberg.
L’Italia sprofonda. Se tornasse su epurata dai troppi capannoni che ne hanno sfregiato il territorio, e che poi sono stati i primi a crollare, non sarebbe forse meglio? Mi passa la voglia di raccontare, vedendo accadere queste cose in uno dei paesi più fortunati e belli del pianeta; e più ricchi, di tutto. Mi passa la voglia di vivere in un paese così stupido. Così folle.
Mi stavo rivedendo qualche documentario sulla guerra del 1991 nella ex Jugoslavia. Anche lì follia. Passando i giorni con una delle persone più deliziose, generose e ricche che mai mi sia capitato di incontrare, ho parlato anche di questo.
Incontro Vlada un mattino di maggio ad Apatin. Sto discutendo con Nicola su come riprendere il nostro viaggio: sono stanco, arrabbiato.
Mi giro e vedo questo ragazzo alto, sorridente, in tenuta sportiva. Lui ha una barca e ha fatto un viaggio bellissimo lungo il Danubio fino al Mar Nero. Vlada ha 34 anni vive a Novi Sad, Serbia. Mi racconta molte cose e mi, ci regala un mondo. Il suo.
Era il 17 maggio quando ho lasciato Bela ed i suoi regali a Mohacs. La sua foto è tra le immagini della galleria flickr. Vi prego sfogliatela. Ci sono le foto meravigliose di Anna Sandrini e Leon Greco, e le mie, molto meno belle. Vi raccontano molto più delle mie parole il viaggio.
Prima di raggiungere la Serbia dobbiamo fare i documenti di uscita. Perchè? Boh. Dobbiamo risalire il Danubio per 2 km, qui c’è una corrente fortissima a 10 km/h e soffia anche un ventone da nord con raffiche a 60 km/h. La polizia ungherese, malgrado le chiamate di Bela, vuole che ci rechiamo la.
Sulla guida era segnato un km sbagliato e siamo passati. Errore capitale quando si è sul Danubio. Risalire è duro, duro e ci viene concesso con Serena. Con Clodia non ce l’avrei mai fatta.
Non capiamo ancora perchè dobbiamo espletare le pratiche per uscire dall EU ma ci adeguiamo. 6 uffici. Una mezzoretta e molta gentilezza e professionalità da parte degli ufficiali. Torniamo da Bela e ricevo anche un bellissimo fiocco (nel senso della vela di prua, che si chiama appunto fiocco) in regalo.
Partiamo con il cielo che si apre a nuvole veloci e io che procedo con Clodia a 15km/h con la sola mezzana, la vela piccola a poppa. Le raffiche sono potenti. Fumo sull’acqua.
Poi il vento cala e posso issare la randa con tre mani di terzaroli. Volo! Massima velocità 18 km/h che sono, in nodi quasi 10. Non male. In 3 ore siamo a Beszdan, al confine con la Serbia. Sapete che io non sopporto i confini.
Ci fermiamo ad un pontone galleggiante, saliamo una ripida scala ed entriamo condotti da un ragazzo di una nave in sosta verso l’ignoto terrorizzante della burocrazia Serba. L’edificio è inequivocabilmente da vecchia cortina di ferro ma molto bello e curato, soprattutto nel verde immenso, intorno. Corridoi silenziosi.
L’ufficiale, giovane, ci guarda con un viso di pietra: “passport!” Poi ci prende i passaporti. Compare nel corridoio un capitano, divisa più amichevole del blu e azzuro della polizia. Un viso simpatico con due baffi da Stalin, un po più piccoli. Entriamo nel suo ufficio: è grande, due schermi, televisione accesa su un notiziario. Cirillico. Belle carte di navigazione.
Leon è nervoso. Anna no. Il capitano Karazdic parla bene inglese. E’ un buon uomo. E fa un lavoro lungo, da certosino. Ogni barca gli richiede molto tempo. E la stampante non funziona. Misure delle barche e mille parole, in cirillico, da scrivere. Almeno 6 copie per persona. Siamo in 4. Uno su Clodia e tre su Serena. Quanti alberi per niente.. Poi i soldi. Si deve pagare 58 euro a barca, per 30 gg di navigazione, indipendentemente dalla barca. Ma noi non abbiamo soldi.
Il capitano abbassa le mani sulle ginocchia: è un po’ contrariato ma non si perde d’animo. Sento il suo buon cuore, un altro dei nostri angeli. Prende Anna e la porta a Beszdan, a 5 km, dove c’è un Bancomat. Anna preleva e, dopo un’altra ora di attesa, siamo in Serbia, regolarizzati./p>
Per brindare il capitano Karazdic ci offre tre sljivovica delle quali due le devo bere io perchè Leon non beve.
Il capitano è in servizio e anche lui non beve. Sono definitivamente entrato in Serbia. Viene la polizia a ispezionare le barche. Angela, poliziotta simpaticissima, bel viso, begli occhi che hanno visto tanto, subito ci comprende. E parte la comunicazione che abbatte questi confini assurdi. Queste scartoffie senza senso. E guardo gli uccelli in cielo che non sanno che questa si chiama Serbia. E volano bene lo stesso.
La Serbia è un paese che a me è parso subito bellissimo. E la sua gente di più. Il Danubio naturale, a parte qualche muraglia di ex-regime. Sicuramente la sljivovica aiuta, un tramonto da favola anche. Un vento gentile mi porta in due ore ad Apatin, con la meringa ortodossa illuminata nel cielo d’oriente.
Lascio la vela con tre mani, malgrado il vento quasi nullo, e mi lascio portare dolcemente, incurante della regolazione delle vele. Vorrei stare per sempre così.
Ci attende Dejan, alto vichingo, arrivato qui mille anni fa e ci fa accostare nel marina più bello di Serbia. Una cena favolosa ad un prezzo sorprendentemente basso nel ristorante a poche centinaia di metri (aperto 24/24!!) chiude una giornata da sogno.
Peccato per la burocrazia, i soldi spesi per mantenerla, ma in fondo abbiamo imparato ad attendere con pazienza e a comprendere, e siamo stati compresi ed aiutati. Sonno totale già balcanico. La sveglia alle 6 è con musica a tutto volume dal vicino distributore, nel quale facciamo colazione. Lindo e modernissimo. Poi arriva Vlada.
In città incontro il capitano Karadzic, bella coincidenza, che ci offre un caffè turco, e non vuole che sia io ad offrire ,malgrado il suo aiuto di ieri. Intervista di una tv locale, marina offerto da Dejan a Clodia (solo 3,5 euro per Serena). Noto un giovane dal viso nordico, accovacciato su un paracarro, e un booklet con su scrittto DONAU.
Io intuisco che.è uno del fiume e infatti… Lui si chiama Jacob e il suo compagno di viaggio è in carcere. Hanno passato il confine senza fermarsi e ad Apatin li hanno presi. Con il loro Kayak, a vela, sono li, ormeggiati. Paul viene liberato. ma devono pagare 500 euro e lasciare il paese in 10 giorni.
Poi si parte tardi. Con la barca di Vlada attaccata a Serena e Vlada a bordo con me. Dopo pochi km vediamo un tipo che si sbraccia, una barca, una bella spiaggetta sotto una sponda alta ed un pentolone sul fuoco. Scambia parole allegre con Vlada e ci invita a bere qualcosa.
Si chiama Batan, ha 51 anni, è uno dei lupi del Danubio, Duna, qui. Vive per 7 mesi all’anno in questo campo che si è costruito, nel quale non manca nulla, di quel che serve veramente, in totale rispetto della natura. Persona bella, anarchica, con tante canne da pesca e astuzie da eremita sociale.
Sigarette, sljivovica e caffè gli arrivano da chi passa. Per tutto il resto c’è il grande fiume. E madre natura. Siamo felici e Leon gli fa un bel ritratto che lui attacca sul frigo, che è una dispensa senza elettricità. Grande Batan.
Siamo sempre tra Croazia, sponda destra e ancora molte spiagge minate, e Serbia, a sinistra e sminata.
Mi dispiace, ma non possiamo andare in Croazia.
Il seguito a presto.
Giacomo