La fine della strada

A volte non è proprio che alla fine della strada ci aspetti una bella casetta per i nostri giorni di riposo, o per gli ultimi. Succede che semplicemente la strada finisca all’improvviso senza tante storie.

Vedo dal treno che mi riportava a Novi Sad, una strada interrotta da un ponte che finisce nel nulla e pensavo a tutti i viaggi del mondo, tutte le vite del mondo. A volte semplicemente finiscono.

Ma io continuo: per il momento, ringraziando Bagawan, continuo. Ora ho anche una medaglietta benedetta da Benedetto, che il nunzio apostolico in Serbia incontrato per caso all’ambasciata italiana di Belgrado, dove il gentilissimo Andrea Arnaldo ci ha organizzato una conferenza stampa, mi ha regalato.

Dobro, super mega dobro, extra dobro, ultra dobro, hyper dobro: i superlativi per questo paese, sul quale e del quale ho sempre sentito peste e corna, si sommano in queste settimane di bellezza. Non lo sapevo ma un paese che ha dato 17 imperatori a Roma forse qualche virtù doveva pur avere.

E dal vivo non vorrei più lasciarlo. Ma un bel gioco dura poco ed entro il 16 giugno devo abbandonarlo per colpa dei soliti motivi burocratici. Quelli sì terribili. Vera croce del popolo serbo.

Ma cosa è la Serbia? Non penserete certo che ve lo spieghi io! Vi rimando ai grandi nomi della letteratura e della poesia che forse più di storici e geografi capiscono le cose. Per me la Serbia è come il Danubio che da sempre qualcuno cerca di far stare in una bottiglia. Non ci sta! In tutti i sensi. E non ci potrà mai stare.

Belgrado è bellissima. Zemun mi è entrata nel cuore. Malgrado i 78 bombardamenti, malgrado architetti e geometri infelici (la città più brutta del mondo nel luogo più bello del Mondo, disse Le Corbusier). Ma non è per una corona di orrendi edifici che si può giudicare una città. Allora tutte le nostre città sarebbero da chiudere per orrore manifesto. Pensate ai palazzoni di Roma, Milano, Torino.

Sava e Danubio, mica Aniene e Tevere… Con tutto il rispetto. Ed i Balcani che iniziano con una fortezza da sogno.

Ma ritorniamo un po’ indietro: Novi Sad (Novi Happy) ci ha congedato con una “cevapciciata” organizzata dagli amici del Marina Dunavac. Ancora grazie alle loro anime a Nora, che insegna matematica e che ricontatteró per il prossimo viaggio, e suo marito.

Parto il 5 giugno da Novi Sad con vento favorevole, poi gira il Danubio e sotto la fortezza me lo ritrovo sul naso. Ma il Danubio rigira ancora e per 47 km è una galoppata in crescendo sui cavallini della Duna. All’una decido di fermarmi perché faccio 13 km all’ora senza vele, con i soli pali, come si dice. E i cavallini stanno crescendo. Clodia manovra incredibilmente bene anche a secco di vele. Vedo un piccolo porticciolo e annessa Ciarda (ristorante) e mi dirigo li. Risalire i pochi metri contro vento e corrente non è facile. Comunque chiedo e trovo ospitalità.

Poco prima, sotto il ponte piu alto del Danubio, un mare di bottiglie di plastica, probabilmente gettate in acqua da una nave di passaggio. Che la vita se li coccoli come sa. Se esiste una giustizia.

Slankamen era un vecchio forte romano, ancora li, impressionante anche se ormai un ammasso di pietre e mattoni. Aquinicum. Acque, cosi importanti per i Romani. I legionari si curavano qui grazie alla sorgente termale salata  e calda: un lusso per dei forzati alla fatica. E qui spesso restavano. Infatti è pieno di viti.

Sapete che i terreni regalati ai legionari altro non erano che una condanna allo stanzialesimo, a colonizzare l’impero. Si piantavano viti, che prima di 4 anni non fruttificano. Qui non si sta male per niente. Alla confluenza della Tisza e della Duna. Colline e buona aria.

Slankamen ha 300 anime.  Ci si vive bene in attesa di un turismo che forse la rovinerà. Come quasi sempre.

Al ristorante di Mika Alas (Alas vuol dire pescatore) mangiamo bene, sentiamo musiche belle e struggenti e incontriamo Oliver, che lavora comprando e riadattando vecchi carri ferroviari.

Viene a vedere la barca e così mi conosce. Subito un caffè poi ci invita a casa sua, in collina con una vista che spazia fino all’Ungheria e alla Romania. Molte piante e viti: il vino che produce, pinot nero, sauvignon, tokaj ben fatto. La terra ottima. Le tre componenti per il vino ci sono: terra, vitigno, uomo.

Vuole organizzare un turismo legato al vino. Questo forse sarebbe un modo per valorizzare questo borgo fatato. E salvarlo dai gelati e dai mal educati. Che sono peggio dei barbari. Come quelli che riempiono questo fiume e l’ambiente di bottiglie di plastica. Semplicemente mal educati. E quasi sempre poi mal educandi.

Incontriamo altri amici. Vedran e Daniela. E Sanda, che ha una casa deliziosa sul Danubio. Parla bene Italiano. Cena troppo alcolica e sveglia alle 5 per partire verso Belgrado. Vedran rimane vittima sul campo e solo la moglie riesce a lavorare al forno.

Via verso la nostra 5a capitale. Caldo, un canyon superbo con casette costruite sul precipizio. Assurdo!

Tappa dura. Il viaggio è molto duro. Tanti km, caldo freddo e zanzare che ora sono fameliche. E tante parole. Energia sempre. Ma la bellezza del viaggio supera tutto. Dopo alcune ore di caldo potente il vento si fa sentire e gli ultimi 10 km sono a vela.

Anna e Leon vengono rifiutati come monatti dal marina dei ricchi mentre io dietro di qualche km vedo subito una bella barca di almeno un secolo con alberi di barche a vela che spuntano dietro.

Infatti bella ospitalita: è lo Zemun Yacht Club, a Zemun. Appunto Zemun, non Belgrado. Praticamente ormai è parte di essa ma è ancora Vojvodina. E Vojvodina vuol dire ancora impero Austro Ungarico. Chi è di qua dice che di la ci sono i balkan, i turchi. Quasi in senso dispregiativo.

Il fiume qui crea un’ansa protetta che divideva l’impero Asburgico da quello ottomano. Imperatori… del c…

Zemun è una città ancora bella, ricca di palazzi splendidi. Umiliata un po’ dai palazzoni di 22 piani, ma divertenti. Da noi sarebbero un ghetto, qui sono ricchi di belle persone che vivono in armonia. Come spesso accade qui. Venditori di pop corn, gelati, e di vita propria. Oggetti della propria storia, qualunque, messi per terra per racimolare qualche dinaro. Unico segno di qualcosa che non va.

Tutto il resto è sano, ricco, ricco veramente di forza e dignità e bellezza. Incontro Mirko, elegante, gentilissimo. Josip un ragazzo fortunato che vive tra Olanda e Zemun con uno stipendio europeo. Qui possiede un microtonner, quelle barche di 5,5 mt che sono veloci e marine. Come quella di Stefano Leon Rodriguez, che andò senza motore da Bergen a Capo Nord e ritorno. Roba da Superman. E Stefano qui sarebbe felice. Ce ne sono altri 7 o 8.

Il club si auto tassa e riceve alcuni contribuiti per iniziare gratuitamente alla vela i giovani. Super dobro! La prima notte pivo su pivo con Zoran, omone vikingo ex campione di canoa nella Jugo di Tito. Fortissimo e buono. E faceva il buttafuori. Ma ascolta solo musica classica. Anche se la notte ininterrottamente va in una disco terribile e le migliaia di zanzare vengono fulminate con suono sinistro ininterrotto.

Il mattino dopo sono ospite all’ambasciata Italiana dove il gentilissimo dott. Andrea Arnaldo convoca i giornalisti. Grazie a Dragan Petrovic dell’Ansa e a Isotta che mi regala una splendida guida del Danubio. Belgrado mi piace molto. Porta i segni di tanta vita. Come dicevo all’inizio. Peccato non poter stare di più.

Conosco meglio Josip. Suo padre è malato. Era militare ed stato punito ai tempi della guerra per non aver voluto sparare sui croati. Come molti qui Josip è figlio di matrimonio misto. Madre Croata e padre Serbo. I suoi primi anni a Pola gli portano l’amore per le barche.

Mi racconta gli anni della guerra, della avversione di Belgrado per Milosevic. Dei suoi giorni da studente. E la guerra come periodo divertente. I regali degli americani sono poco graditi a volte e pesanti da digerire. Come un cattivo hamburger.

Belgrado vive di acqua e i due fiumi Sava e Dunav sono amanti potenti. Saga e Dunav, Zemun e Belgrado. Due e due. Recondite armonie di bellezze diverse. Sottovoce Zemun e sopra voce Belgrado. Lascio Zemun con il pianto e la gioia nel cuore. Emil, microtonner e moglie, e Josip microtonner e basta ci scortano onorandoci della loro amicizia. Emil mi regala una maglietta con su scritto Ja volim Dunav (io amo il Danubio). Ed io lo amo veramente. Non mi tolgo più la maglietta. Mirko mi regala un santino di San Nicola, protettore dei naviganti.

Salpo in buona compagnia e felice ma il mio cuore rimane ormeggiato per un po’ al vecchio barcone del 1908. E al porto sicuro che mi ha offerto. Quello dell’amicizia.

Hvala.


 

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2 Responses to “La fine della strada”

  1. la barca che vedo nella foto fidi fianco alla tua è un micropomo, progewttato e costrutio in italia di cui poi abbiamo ceduto gli stampi a un crotao che adesso fabbrica con le stesse linee d’acqua una barca che chiama Pajnik.

    il micropomo e stat al mia barca pr anni. un abarca meravigliosa.

    ma quando pensi di arrivare a istanbul ?

  2. Giacomo scrive:

    Tra un mesetto credo! Inchallah un abbraccio super micro!!i know

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